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60 anni di sguardi su Torino

Anche se rimase affascinato dai luoghi che visitava – Venezia, le città nordiche, i paesi bianchi del Sud, le colline toscane, gli uliveti della Liguria – o che immaginava – come le favolose “città dell’Asia” – e li rappresentò nelle sue opere pittoriche e grafiche, Eandi è soprattutto Torino.
E di Torino non smise mai di privilegiare i luoghi più dimessi o offesi dall’incuria umana e i personaggi più marginali.

Negli anni giovanili si recava a disegnare dal vero (o trasfigurare?) le zone delle vecchie officine, delle case in precario equilibrio in Borgo Dora, presso il Canale dei Molassi o in Strada del Fortino, soggetti che tornano nella sua pittura degli Anni Cinquanta ed anche in uno dei primi esperimenti con l’incisione.

Compaiono negli Anni Sessanta, ma ritornano a più riprese fino agli anni più tardi, quelle che Ernesto Caballo definì “archeologie torinesi”: steccati coperti di scritte, disegni e vecchi manifesti , che lasciano intravedere, dentro modesti cortili, depositi, baracche di lamiera e, talvolta, un albero fiorito o innevato che suggerisce la presenza di un orto.

E, sempre, il Po, con lo sfondo della collina, che ritorna in tutte le stagioni, nella nebbia, sotto la neve, sotto un cielo sgombro grazie al soffio del foehn, in una notte di luna o di temporale, attraversato da un volo di gabbiani o illuminato a festa dai fuochi di San Giovanni.

Si muovono su questi sfondi personaggi senza nome, che molti probabilmente non notano o guardano con disprezzo, ma nei quali Eandi riconosce bellezza, dignità e poesia: prostitute dal sorriso lieve contro il cielo notturno; vagabondi che non sembrano in cerca di pietà ma di libertà nella loro “solitudine metafisica” (Bartolomeo Gallo, Presentazione alla mostra personale di Eandi presso Piemonte Artistico e Culturale, 1963), e talora hanno il volto di Nando stesso, in visita a un qualche “muro della sua memoria” o perso nell’osservazione degli storni che arrivano a nuvole in città.

Un rapporto forte con la città, non privo però di polemica.
La sua pittura conserva la memoria dolorosa di alberi abbattuti in un cortile per costruire una casa anonima e ingombrante, della demolizione di quell’edificio basso dov’era il suo laboratorio per far posto all’antiestetica efficienza di in palazzo di uffici.

Denuncia l’invadenza del consumismo che dilaga, lasciando rottami abbandonati nel fiume o lungo gli steccati che circondano gli ultimi orti della città: “Il cittadino, gran consumatore di automobili e frigoriferi, vi scarica di nascosto i resti del suo benessere” (Fernando Eandi, Presentazione alla mostra personale presso Galleria Davico, 1973).

E quando la bruttezza fisica e forse anche l’inerzia morale e intellettuale gli diventano insopportabili, compare, su uno di quegli steccati, l’appello: “Amore mio, andiamocene via”

Per Anna

Cade oggi, 24 giugno 2023, il settantesimo anniversario del matrimonio di Anna e Nando.

Una lunga storia d’amore e di comuni interessi, soprattutto artistici.

Spesso, per l’onomastico o il compleanno di Anna (che coincideva con il giorno di San Valentino), Nando le dedicava o eseguiva per l’occasione piccoli quadri, per lo più pastelli o acquerelli, in molti casi racchiusi in eleganti cornici antiche.

Di anno in anno, queste piccole opere andavano a comporre sulla parete presso il letto un piccolo museo personale, che rappresenta un significativo campione dei soggetti più cari a Nando.

Eandi e la Fondazione Cavalieri Ottolenghi

In alcune occasioni, come abbiamo già ricordato (cfr. News - Su commissione), Nando lavorò su commissione come pittore, ma più spesso lo fece come incisore. Sono infatti numerose le lastre incise per matrimoni, nascite o altri eventi, senza contare gli ex-libris, realizzati in gran parte su richiesta.

Un capitolo a parte è costituito dalla prestigiosa committenza della Fondazione Cavalieri Ottolenghi, che in occasione delle festività di fine anno, dal 1998 al 2004, chiese a Eandi di realizzare stampe all’acquaforte da donare ai componenti degli organi sociali e ai consulenti della Fondazione stessa.

La Fondazione Cavalieri Ottolenghi per le Neuroscienze fu istituita nel 1996 a Torino dall’allora Rettore dell’Università di Torino, Prof. Mario Umberto Dianzani, allo scopo di gestire nella maniera più appropriata una rilevante somma di denaro derivante dalla vendita in asta pubblica di un importante bene immobile sito in Roma e lasciato all’Università di Torino dalla Signora Annetta Cavalieri Ottolenghi. Nel testamento la nobildonna chiedeva che il suo lascito venisse destinato allo studio delle basi fisiche e chimiche e alla terapia delle insanità mentali.
La Fondazione, con sede amministrativa e laboratori di ricerca presso il Polo Universitario del San Luigi, si era da subito dotata di un proprio Consiglio di Amministrazione, cooptando inoltre diversi professionisti di competenza e prestigio elevati, i quali fornivano gratuitamente la loro collaborazione. Questi erano, come si è detto, i destinatari delle incisioni, che Eandi realizzò scegliendo liberamente i soggetti da rappresentare. Ritornano, infatti, i temi che gli sono più congeniali, dagli scorci torinesi al cespuglio con uccelli, alle immagini più o meno direttamente evocative dell’atmosfera natalizia, come i giocattoli, la città fantastica o l’annuncio ai pastori.

Le lastre, tirate in numero variabile fra le 35 e le 40 copie, furono tutte stampate da Antonio Liboà presso la Calcografia “Al Pozzo” di Dogliani.
Queste stampe, data la specifica destinazione, hanno avuto una circolazione ristretta e sono poco note al pubblico. Per la loro elevata qualità ci sembra opportuno pubblicarle.

Giochi

Nell’opera pittorica e grafica di Eandi, a partire dalla metà degli Anni Ottanta, non è raro incontrare raffigurazioni di giocattoli.
L’introduzione di questo tema coincide cronologicamente con la nascita del primo nipote. Anche se non è possibile stabilire un sicuro rapporto di causa – effetto, può essere stato questo evento a portare l’interesse dell’artista sugli oggetti legati all’infanzia: proprio al nipote Francesco è dedicata, ad esempio, la tela Per un bambino del 1988.

Queste composizioni lievi e fiabesche incontrano il favore di molti; numerose lastre con questo soggetto vengono infatti realizzate su commissione, anche per celebrare nascite o ricorrenze nella vita di qualche bambino. Queste acqueforti, che per lo più rappresentano una vetrina di negozio, sviluppano il tema con la maggiore varietà: oltre al cavallino di cartapesta e all’orsacchiotto - vecchi giochi delle sue figlie, che Nando conservava nello studio presso il cavalletto – compaiono una bambola, un aeroplanino, un burattino, una maschera, un trenino, un gioco di costruzioni.

Tali soggetti, però, ritornano spesso, singolarmente, accostati ad altri eterogenei, in composizioni come le nature morte o le Vetrine dell’antiquario. E in questi nuovi contesti il carattere giocoso e ingenuo degli oggetti talora viene meno: il cavallino non è che una delle tante cianfrusaglie polverose; le bambole possono diventare grotteschi pupazzi, e l’allusione a qualche crudele rito voodoo è talvolta suggerita dall’accostamento all’immagine di un bersaglio o di un flacone di veleno.

Al tema dei giocattoli potremmo accostare anche la figura ricorrente dell’uomo con l’organetto e dell’uomo con le marionette, con i loro piccoli spettacoli itineranti.

E un piccolo teatro di marionette Nando lo realizzò lui stesso, nei primi Anni Sessanta, per le sue figlie bambine, a partire da una struttura costruita dal padre, esperto falegname ed ebanista.
Nando decora il proscenio dipingendovi maschere, nastri e trofei di strumenti musicali, ed elabora quattro scenari intercambiabili raffiguranti una antica piazza, una rustica osteria, una grotta in una landa desolata e la spiaggia di un’isola lontana. Completano l’opera le marionette realizzate da Anna con creta, fil di ferro e ritagli di stoffe.

Ritratto dell'artista (più o meno giovane)

Il volto di Eandi compare talvolta come soggetto nelle opere di altri artisti e forse più spesso – anche se non sempre è facile notarlo – nelle sue stesse opere.

Il primo esempio risale al tempo dell’Accademia Libera di Belle Arti. Sappiamo che quello fu il luogo dell’incontro fra Nando e Anna, ed è appunto Anna a eseguire un piccolo ritratto a olio di Nando giovanissimo, intento a dipingere en plein air (Nando che dipinge, 1947). 

Sono opera di Anna, come scultrice, anche altri due ritratti, due teste formate in gesso, la prima delle quali grosso modo contemporanea alla tela citata: qui il volto di Nando è interpretato in forme quasi postcubiste. Certamente di qualche anno più tardi (ma di queste opere non abbiamo una datazione precisa) è la seconda testa, d’impostazione più realistica. 

Nel 1970-71 la pittrice Maria Teresa Audoli realizza una serie di ritratti di altri pittori, fra i quali appunto Eandi. L’opera coglie la profondità e forse una certa ingenuità nello sguardo di Nando, attribuendogli anche un aspetto più delicato e giovanile rispetto alla realtà.

Non c’è traccia di idealizzazione, invece, nell’incisivo disegno dell’allievo e amico Carlo Barbero che nel 2003 ritrae Nando, ormai anziano, con tutti i segni del tempo sul volto, sulle mani e nello sguardo un po’ malinconico; nella postura, però, l’autore coglie anche un’autorevolezza e una forza ancora integra. 

A sua volta, Eandi schizza più volte il proprio autoritratto, anche inserendolo con ironia in composizioni di altro soggetto.

Il primo esempio, risalente al 1949, è uno scarno abbozzo a penna, che presenta una forte affinità, sia per le fattezze del volto sia per lo stile, con la coeva testa plasmata da Anna.

In alcune opere successive potremmo parlare propriamente di caricatura: in un disegno a penna del 1986 e in un’acquaforte del 1996 Nando delinea il suo viso con tratti esagerati – nel primo caso simulando forse la mano di un bambino – come uno dei tanti graffiti che popolano i suoi steccati.

Lo spunto è ripreso, e diventa centrale, nella tela dipinta nel 1995, Autoritratto su un muro di via Nizza, che "ricorda l’abitudine di Nando di lasciare per Anna, ai tempi del fidanzamento, un messaggio di saluto accompagnato dal proprio autoritratto, tracciato su un muro lungo la strada che lei percorreva di ritorno dal lavoro” (cit. dal precedente aggiornamento Su commissione).

Infine, nell’acquerello Tempo libero del 1980, possiamo riconoscere Nando concentrato, o forse perso, nell’osservazione di un fitto stormo di storni, da cui era sempre affascinato. E se in questo caso la sua figura è chiaramente riconoscibile, non è raro che in altri dipinti si colga una somiglianza nei tratti di quegli uomini che camminano solitari, con le mani in tasca e la sciarpa mossa dal vento, lo sguardo rivolto al cielo o a qualcosa che gli altri non vedono.

Omaggio a Gianfranco Valente

Lo scorso luglio se n’è andato Gianfranco Valente, titolare insieme alla moglie Vania, fra gli anni Settanta e Ottanta, della stamperia-galleria Tuttagrafica in Piazza Carlina a Torino; ritornato ai suoi luoghi d’origine, sull’Altopiano d’Asiago, riaprì la stamperia e nel 1987 trasformò in un singolare museo (Museo dei Cuchi) la sua ricchissima collezione di fischietti di terracotta delle più varie provenienze.

Alla base di questa nuova esperienza c’erano state, però, già a Torino alcune mostre di fischietti alternate alle consuete esposizioni di grafica. Ad una di queste, “Fischi d’artista” (1982), parteciparono numerosi artisti piemontesi che, magari alla loro prima e unica esperienza nell’arte plastica, foggiarono appunto fischietti figurati, secondo il proprio stile. Fra i partecipanti troviamo anche Nando Eandi e Anna Jarre.

A quanto ci risulta, Nando non si cimentò mai, né prima né dopo, in questa tecnica: per l’occasione realizzò un unico fischietto, scegliendo un soggetto ricorrente nella sua opera grafica e in particolare negli ex-libris, la Fortuna bendata con le chiome raccolte sulla nuca; la terracotta è patinata da un leggero strato di tempera bianca, che lascia trasparire a tratti il rosso del materiale di base.

Anna invece presentò tre personaggi femminili: due a mezzo busto, dal leggero carattere grottesco, caratterizzati da un forte contrasto fra le superfici bianche e il rosso della terra; una a figura intera, forse vagamente ispirata a una tanagra ellenistica.

Tutte le opere presentate alla mostra del 1982 confluirono nella collezione di Valente e sono tuttora esposte presso il citato Museo dei Cuchi di Cesuna, dal cui sito abbiamo tratto le immagini    http://www.museodeicuchi.it/

Viaggio in Italia 5

Il viaggio in Italia si conclude in Piemonte.

Le Langhe arrivano da un tempo lontano nella vita di Eandi: suo padre visse infatti parte della sua infanzia fra quelle colline, a Roddino. A Monforte d’Alba Nando e la sua famiglia trascorrono i mesi dello sfollamento, nel periodo dei più devastanti bombardamenti subiti dalla città di Torino.
Eandi ritrova poi il fascino talora oscuro delle Langhe nella lettura di Pavese e Fenoglio, che fra i narratori italiani sono certamente quelli che più ha amato.
Le Langhe compaiono nel primo periodo della sua produzione pittorica con colori accesi e forse qualche suggestione di Klee; e ritornano, non sempre esplicitamente citate ma riconoscibili, fra gli anni Novanta e Duemila, con i colori cupi dell’inverno o le atmosfere notturne nelle quali brillano fuochi, forse un'allusione ai falò del romanzo pavesiano



Le Langhe di Pavese compaiono, infine, con una diretta citazione dalla raccolta Lavorare stanca, in un ex libris del 2008, presentato in occasione della mostra 25 ex libris per Cesare Pavese, allestita a Santo Stefano Belbo nel centenario della nascita dello scrittore

Viaggio in Italia 4

A metà degli anni Settanta Nando rimane affascinato da Matera, conosciuta grazie all’incontro con Rocco Fontana, protagonista, in quegli anni, della vita culturale della città. Presso la sua galleria, Il Labirinto, vengono allestite (nel 1975 e nel 1978) due mostre di Eandi, che in entrambi i casi coglie l’occasione per visitare non solo la città, ma anche altre località della Basilicata e della Puglia.
Di tali esperienze rimangono tracce soprattutto in opere su carta, incisioni e pastelli, che da un lato citano esplicitamente Matera, dall’altro fanno riferimento più genericamente a “paesi del Sud” o “paesi bianchi”, i quali ritornano, più raramente, anche in alcune tele degli stessi anni

Risultano, dal Catalogo completo delle incisioni (vol. I), due lastre incise nel 1981, intitolate rispettivamente Trulli in Valle d’Itria e Trulli. Non abbiamo trovato alcuna copia delle stampe tirate da queste lastre, né alcuna immagine.
Se qualcuno ne possiede copia o ne ha, comunque, qualche notizia, saremmo felici che si mettesse in contatto con noi

Viaggio in Italia 3

Colline, rupi, necropoli sono i soggetti che Eandi trae dai suoi viaggi nell’Italia centrale e ripresenta più volte nella sua produzione pittorica e grafica

Nando amava profondamente la Toscana, l’Umbria e l’alto Lazio, non solo per le famose città d’arte, ma anche e soprattutto per le campagne e i piccoli borghi isolati - le Crete senesi, la Valle d’Arbia ancora poco battute dal turismo, prima del sovrabbondante sviluppo delle aziende d’agriturismo - e per le tracce della civiltà etrusca, alla quale si interessava con passione

Questi paesaggi ricorrono soprattutto nella seconda metà degli anni '70, ma quei borghi arroccati e le tombe rupestri, suggerendo una specularità fra la città dei vivi e la città dei morti, ispirano anche, più tardi, alcune tele dedicate ai Sonetti a Orfeo di Rainer M. Rilke

A quei luoghi tanto amati Nando tornò ripetutamente – come testimoniano anche alcuni taccuini di lavoro (cfr. News – Taccuini di lavoro), in compagnia di Anna, ma anche dei più cari amici, come Luciano Verdiani, Roberto Pasteris, Carlo Terzuolo

Viaggio in Italia 2

Da Piazza San Marco si vedeva, nello scorso settembre, una grossa nave da guerra americana,
lì alla fonda, con appesi grossi elicotteri.

Sono passati tre anni dal grande coro per la salvazione di Venezia.
Ho iniziato allora la mia serie veneziana.
Nei canali galleggiano, oggi come ieri, “vuoti a perdere” ed ogni sorta di altre immondizie.
Venezia è ormai soltanto più uno splendido fondale colorato per questi nuovi “motivi”

Fernando Eandi, in Catalogo mostra personale Galleria Davico, Torino 1973

Tornare a Venezia è un titolo che ricorre più volte fra i dipinti di Eandi. Una città, appunto, dove Nando tornava sempre con affetto ed entusiasmo, amareggiato però dall’incuria rivelata da tanti edifici fatiscenti; e la sua attenzione va, infatti, più alle calli e ai canali fuorimano che alle zone di maggiore richiamo turistico.

Immagini di Venezia ritornano nella sua opera proposte con tutte le tecniche, dai disegni alle acqueforti, agli acquerelli fino alle tele di grandi dimensioni.

Il soggetto è ampiamente rappresentato nell’opera pittorica fra gli anni Settanta e Ottanta, e permane nelle opere su carta – acquerelli, acqueforti - fino agli anni Duemila. Ma il primissimo esempio compare in una tela del 1964, come testimonia una foto dell’atelier risalente a quell’anno (cfr. News – Gli anni giovanili)

Le opere che Fernando Eandi espone all’Arte Club […] son nate da uno dei tanti ritorni dell’autore a Venezia “nelle limpide giornate dello scorso inverno”. Siamo di fronte a delle immagini lievi, dettate da un’acuta sensibilità, costruite tono su tono, affidate a tecniche diverse: il colore acrilico, la tempera, l’acquerello. Son vedute di calli e muri solitari, dove le suggestioni del vero vengono ormai di lontano, traducendone il ricordo in figurazioni sottilmente tonali, dove quasi si stemperano in un’atmosfera madreperlacea dove ogni altro colore affiora con strane iridescenze: come avviene in certi antichi vetri veneziani. […] In Tornare a Venezia, un vago mistero di luci e ombre, tra le lame di sole che sembrano frugare nel buio d’una stretta calle, quinte fatiscenti e quell’acqua, sotto, in cui ogni colore altrove stinto si direbbe abbia invece trovato ricetto

Angelo Dragone, Lagune di Eandi. Miti di Possenti, La Stampa 18 novembre 1979

[…] In Case veneziane (1996) gli effetti di prospettive verticali si schiudono nella filante parete bianca della casa di sfondo, che invece di sbarrare apre verso l’infinito in un cielo che così basso non c’è, ma lo vedi tu che guardi oltre, dove l’artista ti dirige, passando fra le file di archetti sospesi, arrampicandoti su capitelli sbreccati, costeggiando l’ombra delle lesene, arrivando fino ai camini da dove poi tocchi l’azzurro.

Gianfranco Schialvino, Presentazione a Fernando Eandi. Diario con figure. Catalogo delle Incisioni 1992-2002

Viaggio in Italia 1

Riprendiamo, dopo una lunga pausa, i nostri aggiornamenti


Nando non fece mai lunghi viaggi in altri continenti, ma viaggiava spesso in Italia: diverse mete diventarono
per lui luoghi del cuore, riproposti più volte nella sua opera pittorica e grafica.

Iniziamo qui con un unicum, che è, per il momento, la prima testimonianza che abbiamo reperito della sua
produzione artistica: si tratta di uno schizzo a penna, eseguito a Roma nel 1948, raffigurante uno scorcio di
Trastevere, che non presenta ancora i tipici stilemi delle opere successive

Mostre postume

L'attività espositiva di Eandi non si esaurisce con la sua vita, anche grazie alla stima e all'affetto che si è guadagnato

Già all'indomani della sua morte, Luciano Rossetto con l'Associazione Nazionale Incisori Contemporanei decide di dedicargli la sezione monografica della mostra Sogni incisi, in preparazione presso la Biblioteca Statale Stelio Crise di Trieste. Alla mostra, inaugurata il 5 maggio 2018, sono esposte opere di molti fra i più validi incisori italiani viventi e, in un'ampia sala a lui dedicata, circa 50 incisioni di Eandi, che ripercorrono la sua produzione a partire dai primi esperimenti fra gli anni '50 e '60 fino alle opere più impegnative dei tempi recenti, dando particolare rilievo alle grandi lastre con figure di donne.

La scelta delle opere viene curata, oltre che dalle figlie e dai nipoti Mauro e Fulvio, anche dai fedelissimi amici Pippo Poli e Sergio Dellavecchia, con l'autorevole supervisione di Gianfranco Schialvino, autore di un ampio e puntuale saggio in catalogo ("Quaderni di incisione contemporanea" n°17):
"[...] Approfitto di questa mostra triestina (tanto lontana “da casa”, sua e mia, e la prima dopo la sua scomparsa, un paio di mesi fa), per scrivere ancora di Fernando Eandi, torinese di lontane origini occitane, pittore e incisore che, caso insolito assai, unisce nelle sue opere la passione e l’affetto di un attivo collezionismo e la stima unanime della critica, che da Luigi Carluccio a Raffaele De Grada, da Aldo Passoni a Marisa Vescovo e Laura Mancinelli, l’ha sempre seguito in una carriera ricca di successo.
Eandi era nato nel 1926 e, accanto all’attività di peintre-graveur, ha svolto da giovane quella di restauratore, lavoro che gli ha dato una conoscenza raffinata di mezzi espressivi che lo ha portato a una tavolozza affatto inusuale e personale, ed all’approccio disinvolto con tecniche varie, soprattutto quelle incisorie. La sua prima mostra è alla galleria Gissi, a Torino, nel 1960 (ricordo che Gissi, accanto ai Chagall, Kandinskij, Picasso, Moore, e tra gli italiani Campigli, De Chirico, Morlotti, De Pisis che esponeva abitualmente, ogni anno proponeva un artista giovane, e nel ’60 la scelta cadde appunto su Eandi, in un esordio quanto mai prestigioso), e da allora in una cinquantina di mostre personali ha attraversato l’Italia, da Milano a Matera, con qualche puntata anche fuori, nella vicina Svizzera, a Zurigo ed a Berna.
Non è molto obiettivo il mio approccio critico sul suo lavoro. Quando racconto delle opere di artisti cui sono legato, oltre che dalla stima, anche dalla consuetudine e dall’affetto, e insieme a Nando potrebbero essere stati Soffiantino e Tabusso, Wolf e Calandri, Luzzati e Salvo, e sono oggi Lorenzini, Giletta e Bracchitta, uso cautelarmi dagli effetti delle due incontrollate varianti, l’ammirazione e la passionalità, citando le parole di Giovanni Testori nei Saggi su Gaudenzio Ferrari: Alla base sta il fatto che chi scrive, se critico è, ama riconoscersi in quel particolare tipo di critica che dovrebbe, a buone ragioni, chiamarsi emozionale [...]"

Da febbraio ad aprile 2021, a tre anni dalla scomparsa di Nando e a dieci anni dalla precedente mostra nelle proprie sale, la Galleria Fogliato di Torino ospita una personale antologica, che intende documentare l'intera produzione pittorica e grafica di Eandi, dando spazio anche ai dipinti più giovanili - a cavallo fra gli anni '50 e '60 - che, in vita, il pittore raramente aveva presentato al pubblico. 

Nella brochure della mostra sono presenti interventi critici approfonditi e amichevoli di Francesco Poli e Gianfranco Schialvino, oltre a una lucidissima e sintetica nota dettata per l'occasione dalla moglie Anna.

La mostra - forse anche perché coincide con la riapertura delle attività e il ritorno di un certo entusiasmo vitale dopo il lockdown - registra un notevole successo di pubblico che conferma nuovamente un interesse e un apprezzamento ancora molto vivi

Angelo Mistrangelo, Quelle sottili emozioni di Nando Eandi, in torinosette - La Stampa, 12 febbraio 2021
La poetica e suggestiva “Sera di vento” accompagna, a partire dalle 10 di sabato 13 febbraio, i visitatori della mostra antologica dedicata a Nando Eandi dalla Galleria Fogliato, in via Mazzini 9, sino al 27 marzo. A due anni dalla scomparsa dell’artista, questo appuntamento con una settantina di opere, tra dipinti, disegni e incisioni, permette di ritrovare il clima di una figurazione estremamente misurata e meditata, di cogliere il fascino segreto di un mondo limpidamente definito e interpretato. Corredata da una brochure, con testi di Anna Jarre, Francesco Poli e Gianfranco Schialvino, l’esposizione offre un panorama di impressioni, come la rappresentazione della “Donna di notte” o di “Ricordo d’Alsazia”, che esprimono il senso profondo della sua ricerca pervasa da sottili emozioni. Torinese (1926-2018), Eandi ha frequentato la scuola di Arte Decorativa all’Accademia Albertina, dove ha svolto una breve attività di docente, mentre dal 1952 si annoverano numerose presenze in collettive nazionali e internazionali. Un’esperienza, la sua, sempre estremamente controllata, dove un segno graffito, un profilo di ragazza, un volo di gabbiani sul Po o sui canali veneziani, concorre a delineare un’atmosfera sospesa e magica, in una sorta di narrazione legata al mutare della luce e delle stagioni. Una stagione, quella della pittura, scandita dalle personali a Milano, Zurigo, Cavatore, Bene Vagienna, e da immagini in cui si avverte una visione e rilettura della quotidianità fra realtà e sogno

Ut pictura poesis

L'opera di Eandi è stata anche fonte di ispirazione per scrittori e poeti, come si è visto, in precedenza, per Laura Mancinelli.
Il caso più recente riguarda Giovanni Tesio, filologo, critico letterario, già docente presso l'Università del Piemonte Orientale e apprezzato poeta dialettale. Tesio prende spunto per un sonetto da uno dei grandi Olivi dipinti da Eandi nei primi Anni Ottanta, opere apprezzate da chi non si sofferma su un dato puramente descrittivo, ma ne accetta il carattere crudo, evocativo e per certi aspetti anche inquietante. Tutto questo coglie Tesio nel suo sonetto, traendone un messaggio di perturbante sensualità e di sofferenza esistenziale

Un tronch ch'a l'é squarzà 'nt ël bel mes
come n'agnel pendù a doi grampin
ma 'dcò come na fomna con sò sess
ch'a resta lì duvert come 'n bassin.

A l'é l'umanità d'un-a chërpura
che costa uliva arvela 'n tuj ij sens
e an dis bin che tut a l'é tortura
e ch'a s'arciama tut come na smens.

Cole ventraje a son mistà 'd color
rotam d'un mond ch'as deurv sensa pietà
mostand ël veuid d'un còrp strompà 'n dolor.

E j'euj a van gropà a cola sòrt
ch'a resta lì duverta a la pietà
al grop ëd nòsta vita, 'd nòsta mòrt. 

Traduzione dal piemontese:

Un tronco che è squarciato nel bel mezzo/come un agnello appeso a due ganci/ma anche come una donna con il suo sesso/che resta lì aperto come un bacile.// È l'umanità di una crepa/che questo ulivo rivela in tutti i sensi/e ci dice bene che tutto è tortura/e che tutto si richiama come un seme.// Quelle viscere sono immagini di colore/rottami di un mondo che si apre senza pietà/mostrando il vuoto di un corpo stroncato dal dolore.// E gli occhi vanno legati a quel destino/che resta lì aperto alla pietà/al nodo della nostra vita, della nostra morte.

La lirica compare inizialmente nella raccolta Vita dacant e da canté (Centro Studi Piemontesi, 2017) ed è poi ripresa in Pitura parolà (Interlinea, 2018), una raccolta di 100 sonetti ognuno dei quali ispirato ad una diversa opera d'arte: qui Eandi è onorato della compagnia di Giotto, Michelangelo, Bacon, Vermeer, Cézanne e tanti altri fra i più straordinari artisti di tutti i tempi.

Il libro è stato pubblicato ora nella traduzione francese di Perle Abbrugiati (14 secondes. L'art réfléchi dans un sonnet, Presses Universitaires de Provence - Maison Laurentine, 2021); leggendo il sonetto dedicato all'Olivo in questa versione si avvertono atmosfere quasi baudelairiane


Ringraziamo il Professor Tesio per l'autorizzazione alla pubblicazione dei testi

Un tronc qui est fendu par son milieu
Comme un agneau pendu à deux grappins,
Mais aussi comme un sexe féminin
Qui reste là béant, vertigineux.

Et c’est l’humanité d’une fissure
Que l’olivier dévoile, à tout les sens,
Il nous dit bien que tout n’est que torture
Et que tout nous renvoie à la semence.

Ces entrailles, gravure de couleurs,
Débris d’un monde ouvert sans rémission,
Sont le vide d’un corps meurtri qui meurt.

Les yeux restent captivés per ce sort
Qui reste là, objet de compassion,
Le nœud de notre vie, de notre mort.

Mostra Galleria Fogliato

L'atelier di Corso Dante

Corso Dante 118. Chi ha conosciuto Eandi non può dimenticare l’indirizzo presso il quale si svolge per circa cinquant’anni l’attività dell’artista

A metà degli Anni Sessanta, quando, in seguito alle prime mostre, comincia ad essere conosciuto e apprezzato, non gli basta più come atelier una stanza dell’appartamento in cui vive, e affitta quindi una piccola soffitta della bella casa Liberty (la stessa dove, al primo piano, avrà per diversi anni la sua prima sede la Scuola Holden).

Nel cortile ci sono alberi da frutto, una piccola casetta d’inizio 900 che ricorda il non lontano Villino Caprifoglio al Valentino, e un basso fabbricato che ospita una fabbrica di biciclette. L’albero di cachi soggetto di vari dipinti e disegni di quegli anni si trova, appunto, in questo cortile

All’inizio degli Anni Settanta cambiano molte cose. Gli alberi vengono abbattuti e al loro posto sorge un nuovo palazzo sul lato di via Tiepolo; la casetta viene ristrutturata, perdendo un po’ del suo carattere fiabesco; chiude la fabbrica di biciclette. Nando si trasferisce allora nel locale al primo piano del basso fabbricato, dove conserva, appese alle pareti, alcune testimonianze di quello che non c’è più: alcuni elementi decorativi del tetto della casetta, una ruota di bicicletta arrugginita.

Si circonda di libri, di oggetti acquistati, trovati o ricevuti in regalo (il cavallino di cartapesta e l’orsetto ricordo dell’infanzia delle sue figlie, fotografie, un’ancora e una fiocina, maschere africane, vasi, manifesti, frammenti di antiche statue lignee), riempie le pareti di opere proprie e di colleghi (Soffiantino, Agosti, Barbero, Franco, Roggino, Aime, per fare solo qualche nome).

E lavora, accompagnato dalle irrinunciabili sigarette e dalla musica, per lo più classica o jazz, raccolta in tante audiocassette

Il locale, proverbialmente caldo d’estate e freddo d’inverno, illuminato per tutta la lunghezza da alte finestre su un lato, è diviso in tre parti. La prima stanza, arrivando dalla scala, verrà occupata da Anna per la sua attività di scultrice; nella seconda, la più ampia, Nando si dedica alla pittura; nell’ultima troverà spazio il torchio calcografico e tutto il materiale per la preparazione, le morsure e la stampa delle lastre

Oltre alla moglie Anna, sono numerosi gli amici che condividono periodicamente l’atelier: Rosanna Massaglia, che per anni considera Nando il suo “maestro”, e alcuni allievi incisori, fra i quali i fedelissimi che si dedicheranno con passione all’acquaforte fino agli ultimi anni dell’attività di Nando.

Di questo lavoro fianco a fianco rimangono diverse testimonianze. Insieme ad Anna, Nando espone nel 1978 alla Galleria Arte Club a Torino, nel 1980 alla Galleria La Fornace di Asti, nel 1997 a Mondovì presso la Galleria Isola di San Rocco al Ponte delle Ripe; il Centro Culturale Galleria di Avigliana propone, nel 1983, la mostra “Un atelier in Corso Dante: Eandi, Jarre, Massaglia”; le opere del gruppo di allievi incisori, insieme a quelle del maestro, vengono esposte nel 1993 alla Stamperia  I due fiumi di Torino, e successivamente a Rivarolo Canavese nel 1996 e nel 2000 in due mostre dal titolo “L’atelier di Corso Dante”, rispettivamente nella sede della Biblioteca Comunale e del Palazzo Comunale

Una singolare interpretazione dell’atelier di Eandi viene realizzata da Andrea Barin, artista specializzato nel disegno a matita, che nel 2004, agli esordi della sua attività, scatta alcune foto nel locale e ne ricava disegni caratterizzati da un iperrealismo affascinante e leggermente inquietante

Supporti inusuali 

Seconda parte

Proseguendo la rassegna delle opere di Eandi eseguite su “supporti inusuali”, raccogliamo qui una serie di dipinti distribuiti sull’arco di mezzo secolo; per lo più si tratta di soggetti proposti ripetutamente nella sua produzione abituale, adattati, però, alla particolare collocazione.

Lo spunto può venire dall’intento di personalizzare oggetti d’uso quotidiano nell’ambito famigliare.

Nei primi Anni Sessanta Nando dipinge, nello stile delle pitture rupestri, figure di arcieri e di cervi sulla facciata lignea della casa dei cognati in alta Val di Susa. Il dipinto è ancora parzialmente visibile, sebbene alquanto sbiadito

Nel 1995 decora per il nipote Fulvio un paravento di carta con cornice in legno. Il soggetto, tipico di quegli anni, è un notturno sul Po

Con lo stesso soggetto  decide, due anni dopo, di dipingere la superficie interna della porta del proprio appartamento

Al di fuori di questa produzione privata, Eandi si misura con supporti anomali anche in occasione di esposizioni pubbliche.

Nel 1983 a Sauze d’Oulx, Teresa Ramasso, allora titolare della Libreria – Galleria “Spazio”, propose la realizzazione di una mostra permanente nel borgo antico, che fu organizzata grazie alla collaborazione del Comune, dell’Azienda Autonoma di Soggiorno e si “Sauze Promotion”.

Numerosi artisti piemontesi (l’elenco è lungo, e comprende i nomi dei migliori pittori di quegli anni) furono impegnati a dipingere le finestre di vecchie case, fienili e stalle, evocando la vita e le tradizioni dell’Alta Val di Susa.

Le opere rimasero in mostra per alcuni anni e vennero poi ritirate nei depositi del Comune. Grazie alla solerte collaborazione delle signore Cinzia Eydellin dell’Ufficio turistico e Barbara Cattaneo dell’Ufficio Tecnico del Comune di Sauze, siamo riusciti a ottenere una foto del dipinto di Eandi, raffigurante, probabilmente, il personaggio di un  farmacista

Nel 1997 Palazzo Lomellini a Carmagnola ospita una singolare mostra (replicata nel 1999 al Castello di Pralormo) dal titolo “Metafora di viaggio”. Si tratta di “valigie d’autore”. Paolo Cotza, collezionista di vecchie valigie acquistate al Balon, ha proposto a 120 artisti di trasformarle creativamente con libere allusioni al tema del viaggio. Eandi esegue un collage di vecchie cartoline, biglietti aerei e ferroviari, e dipinge figure e volti, fra i quali il proprio, sotto la scritta “Amore mio, andiamocene via” (riprendendo il titolo di un dipinto del 1978)

Si tratta nuovamente di finestre nel 2011. L’Associazione “Amici di Valloria – Le Tre Fontane”, attiva nella frazione del comune di Prelà (Imperia), proseguendo una tradizione che, iniziata nei primi Anni Novanta, ha coinvolto decine di artisti italiani e internazionali, invita Eandi a dipingere una finestra della borgata. L’opera, che a quanto ci risulta è tutt’ora visibile, porta il titolo di Paesaggio invernale e riprende il tema consueto del cespuglio con uccelli

Supporti inusuali 

Prima parte

Non solo fogli e tele danno testimonianza dell’attività creativa di Eandi. In più occasioni infatti l’artista si è messo alla prova con tecniche ma soprattutto con supporti inusuali, talora per scelta, talora su commissione.

Presenteremo qui alcuni campioni di un passatempo giovanile condiviso con Anna negli Anni Cinquanta. Si tratta da un lato di oggetti in ceramica, plasmati da Anna e dipinti da Nando: un vassoio, un vaso, le bomboniere per il proprio matrimonio, medaglioni, collane; dall’altro di tessuti in seta o in cotone, dipinti da Nando e poi lavorati da Anna come stole, camicette, borse o paralumi.

Non è molto il materiale sopravvissuto al tempo, e solo grazie alla cura scrupolosa di alcuni familiari; ciò aumenta l’interesse dei pezzi che presentiamo qui.

Eandi illustratore 

Appendice

Le continue ricerche bibliografiche ci hanno messi in grado di trovare ancora alcuni documenti dell’attività di Eandi come illustratore, non individualmente ma insieme ad altri colleghi.

Si tratta di libri di difficile reperibilità pubblicati fra gli anni ’60 e gli anni ’80, perlopiù da piccole case editrici: rivestono, ognuno a suo modo, un interesse documentario, oltre all'interesse artistico, appunto, delle illustrazioni. Si tratta infatti di opere che, tranne in un caso, non sono mai state esposte in una mostra, e hanno quindi avuto una scarsa visibilità.

Nel 1965 il giornalista e critico Ernesto Caballo pubblica, per l’Istituto Editoriale del Mezzogiorno, Un altro Cervino per Luc, un “romanzo per giovani”, come recita il sottotitolo. L’opera si inquadra nelle celebrazioni del centenario della conquista del Cervino e si compone di alcuni racconti su figure di alpinisti e guide che hanno legato le loro vicende alla “Gran Becca”. Vengono coinvolti per le illustrazioni numerosi artisti, alcuni dei quali già celebri ed affermati, altri ancora agli albori del loro successo: per citarne solo alcuni, Francesco Menzio, Enrico Paulucci, Mario Calandri, Italo Mus (la cui opera è riportata anche in copertina); e fra i giovani, insieme a Nando, il grande amico Luciano Verdiani, Francesco Tabusso, Giacomo Soffiantino. L’opera di Eandi pubblicata (olio o tempera, per quanto è dato di capire dalla riproduzione) è intitolata Il rascard.

È del 1971 Tra busson e rovej (Tra cespi e rovi), la raccolta di poesie in dialetto di Carlo Cocito. L’autore, studioso esperto, seppure non accademico, dei dialetti piemontesi (è fra i fondatori de Ij Brandé, associazione dedita allo studio e alla diffusione della lingua piemontese) pubblica, per i tipi delle Edizioni S.P.E. di Torino, questo breve libro di liriche nel dialetto di Montà d’Alba. Collaborano per le illustrazioni i nomi più noti della pittura e dell’incisione in Piemonte, fra cui Ettore Fico, Lea Gyarmati, Giuseppe Garimoldi, Giuseppe Bercetti, Francesco Franco (che firma l’opera in copertina). Eandi partecipa con il disegno Om ant ël pra.

Nel 1975 la giovane casa editrice Hibla di Torino pubblica un ambizioso libro (contenente anche un 45 giri) intitolato Le Canson dla Piòla, a cura del cantautore piemontese Roberto Balocco e del fratello Piergiorgio. Il volume riporta i testi (in torinese con traduzione in italiano) di settanta canzoni di Balocco, molte delle quali, a loro volta, tratte dal repertorio tradizionale torinese. Le canzoni sono presentate come esempi di autentica cultura popolare, in anni assai fecondi per il recupero e la valorizzazione di quel genere di produzione.

Sulla copertina del volume è riportata una impressione a secco di Ezio Gribaudo, mentre i testi sono corredati da 12 tavole originali a colori, appositamente eseguite per il volume da Sandro Cherchi, Ettore Fico, Ezio Gribaudo, Aldo Landi, Giovanni Macciotta, Émile Marzé, Piero Monti, Luciano Proverbio, Giorgio Ramella, Giacomo Soffiantino, Felice Vellan. La tavola di Eandi è posta a commento della canzone Quand j’era giovo.

Nel 1987 la Fabbri Editori dà alle stampe La chitarra. Storia, mito e immagini. Il libro vede la luce per iniziativa dell’AICS (Associazione Italiana Cultura e Sport – sezione nazionale) e contiene diversi interventi sulla storia di questo strumento musicale nonché interviste con maestri quali Andrés Segovia, Alvaro Company e Alberto Ponce. Il volume è completato da una ricca selezione di opere che si ispirano variamente al tema iconografico della chitarra: tra gli autori nomi di spicco come Aligi Sassu, Claudio Bonichi, Armando Testa (la cui elaborazione grafica è riportata anche in copertina), e i torinesi Francesco Casorati, Giacomo Soffiantino, Guido Bertello, Romano Campagnoli, Giorgio Ramella. Eandi presenta una “natura morta” a pastello dove, fra altri oggetti ricorrenti nelle sue opere, compaiono due immagini di chitarre.

I quadri riportati sul volume furono presentati in una esposizione itinerante che ebbe la sua inaugurazione nella prestigiosa sede di Palazzo d’Accursio a Bologna e toccò diverse altre città, fra le quali Ferrara, Rimini, Riccione, Macerata, Riva del Garda.

Riguardo al volume e alla mostra sulla chitarra, si ringrazia, per le preziose informazioni, il Dott. Vincenzo Sanfo che curò la scelta delle immagini.

Su commissione

Il lavoro su commissione, per un artista contemporaneo, può essere rifiutato come un vincolo fastidioso, ma talora anche sentito come una sfida alla propria creatività o persino come una risorsa, nei momenti in cui la cosiddetta ispirazione è debole. Queste erano, lo ricordiamo bene, le possibili reazioni di Eandi di fronte alla proposta di lavorare su un tema proposto dall’esterno.

In alcuni casi si trattava di soggetti per lui abituali, o interpretabili attraverso le sue più consuete iconografie, o comunque congeniali alla sua sensibilità; in altri Nando esplorava temi nuovi, inizialmente con un certo scetticismo ma poi ricavandone talora spunti per ulteriori rielaborazioni in tutt’altro contesto.

Spesso l’occasione era la partecipazione a mostre collettive a tema, talvolta vi erano invece richieste specifiche da parte di amici o conoscenti.

Sono numerose le lastre incise per matrimoni o nascite, o per la partecipazione a cartelle d’incisioni a tema, o quelle commissionate da aziende come omaggi per le festività o per particolari ricorrenze. In questo aggiornamento vogliamo però limitare il campo alla pittura, presentando alcune opere significative di epoche diverse, senza pretese di completezza.

Ceramiche vecchia Torino

Dipinto per la mostra “Artisti d’oggi per il Barocco piemontese”, tenutasi nel 1963 a cura dell’Associazione Piemonte Artistico e Culturale

Nando disegna Paola

Dipinto per la mostra “Il Mondo dei bambini”, organizzata dall’editrice UTET di Torino nel 1978; su uno dei consueti steccati, Eandi disegna, con un tratto infantile, la figlia Paola da bambina sul triciclo

Sogno ricorrente

Dipinta per la mostra “Il Mondo dei bambini”, organizzata dall’editrice UTET di Torino nel 1978, l’opera rappresenta una scena che Nando ricordava di aver sognato ripetutamente fin dall’infanzia: un treno a vapore che attraversa una pianura innevata, e che progressivamente si trasfigura in altri oggetti

Dai "Sonetti a Orfeo"

Dipinto per la mostra “Il mito di Orfeo”, tenutasi presso il Salone delle esposizioni di Collegno nel 1988; Nando prende liberamente spunto, in quest’opera, dalla raccolta poetica di Rilke

Fornace

Dipinto commissionato nel 1991 dai proprietari dell’impianto

Fibre muscolari del cuore.

Dipinto per la mostra “Omaggio a Giulio Bizzozero”, organizzata nel 1991 dalla Regione Piemonte presso il Circolo degli Artisti, nella quale venne presentata al pubblico per la prima volta la collezione di disegni istologici - nata come supporto didattico delle lezioni universitarie di Bizzozero alla fine del XIX sec. - accanto alle opere di 28 artisti che ne fecero un motivo ispiratore, reinterpretandole con tecniche e materiali diversi

Autoritratto su un muro di via Nizza

Dipinto per la mostra “Ritratto e autoritratto”, tenutasi nelle sale di Palazzo Lomellini a Carmagnola nel 1995; ricorda l’abitudine di Nando di lasciare per Anna, ai tempi del fidanzamento, un messaggio di saluto accompagnato dal proprio autoritratto, tracciato su un muro lungo la strada che lei percorreva di ritorno dal lavoro

Sogno ricorrente

Dipinto per la mostra “La notte del treno”, organizzata, a cura di Gianfranco Schialvino, presso la Torre Ferranda di Pont Canavese, per celebrare il primo centenario dell’arrivo del treno a vapore in questo Comune. Ritroviamo qui il soggetto già incontrato nella mostra “Il mondo dei bambini”

Nereidi

Dipinto per la mostra “Oceano e Teti”, allestita presso la Sala delle Arti di Collegno nel 2005

Montagne bruciate

Dipinto per la mostra “20 artisti per dire NO TAV”, mostra itinerante svoltasi fra il 2006 e il 2007, con tappe in diverse località della Valle di Susa e a Torino presso la sede del Centro Studi Sereno Regis

Preparazione dell’aïoli

Dipinto per la mostra “Sulla tavola”, allestita nel 2008 per iniziativa di Eataly nella Sala Punt e Mes del Museo Carpano a Torino; un omaggio alla Provenza, dalla specialità culinaria alla grande arte di Cézanne

Rubagalline

Dipinto per la mostra “Sulla tavola”, allestita nel 2008 per iniziativa di Eataly nella Sala Punt e Mes del Museo Carpano a Torino; Nando ritorna su un soggetto rappresentato in diverse occasioni molti anni prima

Nando e Anna

"Quello che avevamo in comune era l'entusiasmo e la curiosità"     (Anna)

Possiamo immaginare Nando senza Anna?

Il 12 febbraio abbiamo ricordato il secondo anniversario della morte di Nando; oggi sua moglie, Anna Jarre, festeggia il centesimo compleanno. 

Vogliamo quindi ripercorrere alcune tappe della lunga relazione di questa coppia, inscindibilmente intrecciata al percorso artistico di entrambi. 

La loro amicizia inizia presso la Libera Accademia di Belle Arti nel 1946; si frequentano assiduamente lavorando fianco a fianco e condividendo l'interesse per gli sviluppi dell'arte e della cultura. 

Nel 1953 il matrimonio, e poi 65 anni di vita insieme. Anna, che aveva messo da parte la scultura fra gli anni '50 e '60, la riprende alla fine degli anni '70, tornando a presentarsi al pubblico con alcune mostre sia collettive sia personali.

In tre occasioni Nando e Anna espongono in coppia: nel 1978 alla Galleria Arte Club, nel 1980 ad Asti, Galleria La Fornace, nel 1997 a Mondovì, presso lo spazio espositivo Isola di San Rocco al Ponte delle Ripe.


Paolo Levi, Presentazione alla mostra Anna Eandi JarreFernando Eandi, Torino, 1978

Quando Fernando Eandi e Anna Jarre si conobbero, più di trent’anni fa, pur praticando discipline differenti, come la pittura e la scultura, avevano in comune l’amore per i viaggi e l’archeologia.

Fernando Eandi ha sempre portato con sé la febbre e la cultura umanistica di chi sa cogliere e fermare su fogli di carta impressioni e immagini di figure e di paesaggi urbani filtrati attraverso una drammatica articolazione.

Le sue immagini di un tempo celebravano l’inospitalità delle nostre città, con le loro inquietanti archeologie, dai segni sottilmente graffianti e i colori aspramente opachi.

Ora la sua tensione espressiva sembra essersi allentata per far posto all’ovattato mondo dei sentimenti e delle nostalgie.

In questi reportages poetici dei suoi viaggi attraverso la terra degli Etruschi, Toscana e Lazio, e la contemplazione dei Sassi di Matera, la sua andatura si è fatta più morbida. Con lievi toni cromatici, trasparenti, ha saputo cogliere il lento processo di decomposizione dei paesi abbandonati del sud, città morte, arcaiche.

Nelle acqueforti della cartella dedicata alle “Quattro città”, nel ben calcolato gioco di luci e di ombre, il dato della memoria poetica si è sostituito al dato del reale, con risultati tecnici che hanno il sapore della magia.

Ed ora, in questa mostra, la memoria romantica di Eandi si confronta con il mondo scultoreo, figurativo ed arcaico di sua moglie Anna, alla sua prima mostra personale.


Anna Jarre ama ricordare di aver imprestato, alla fine degli anni Cinquanta, alcune sculture per mostre collettive, ormai dimenticate, e da allora non si è più confrontata con il pubblico.

Di quegli anni giovanili espone una testina in bronzo dal sapore arcaico, a tutto tondo, affascinata già dai modelli antichi.

Avremmo voluto esposti accanto a queste sculture anche i progetti, ma Anna Jarre non li conserva e confessa che, di solito, sono piccoli appunti ricavati dal retro del conto della spesa.

Apollinee le figure in bronzo, dionisiache quelle nate dalla gioia di manipolare la terracotta.

Linguaggi differenti a seconda della materia usata e Anna, sin dagli anni di apprendistato, ha compreso che in scultura non si deve badare all’esattezza realistica, ma solo sottostare al libero svolgimento delle forme. Le sue testine in bronzo ci riportano alla impenetrabilità e alla grazia misteriosa di certe sculture antiche, alla cui psicologia siamo storicamente estranei. Nella terracotta la sua capacità non ha scaltrezza e nasce dalla fantasia del saper dare corpo alle forme come nelle due terrecotte grottesche, color tegola, nate come “coppia da giardino”, dove il taglio delle figure danzanti è ricco di riferimenti cubisti.

Di sapore espressionistico è l’insieme, quasi informale, delle terrecotte colorate, che raffigurano un gruppo di personaggi in stretto abbraccio, un unico nucleo dalle diverse accentuazioni segniche, che fanno vibrare la materia in un’energia tendente a comprimersi in se stessa.

Proprio per rimanere libera Anna Jarre ha più piani di appoggi linguistici, e qui sta tutta la sua sincerità di artista.

Questo confrontarsi in mostra, tra i due artisti, esprime un colto e divertito sapore di sfida, una civile autobiografia di chi crede nella propria ricerca e nelle più antiche tecniche espressive, come la pittura, l’incisione, la creta e il bronzo.


Pino Mantovani, Presentazione alla mostra Nando Eandi - Anna Jarre - Arte e vita per due, Mondovì 1987 (in Porti di Magnin. Periodico di Arti Figurative e di Cultura, n. 37 Ottobre 1997

Si può dipingere la notte?

Se la pittura fosse descrizione della luce, non sembrerebbe possibile dipingere l’indifferenziato buio. Ma la notte non è omogeneamente “nera”: infatti è, per cominciare, impregnata della memoria proiettata sull’attesa della luce, insomma è intervallo tra chiaro e chiaro. Ma anche in termini per così dire quantitativi, la notte non è priva di luce e infatti l’occhio che vi si abitua scopre folgori, accensioni, fosforescenze, e perfino una ricchezza cromatica profonda e sontuosa. E poi innumerabili lumi vi pulsano pungenti e preziosi, in parte naturali (luna e stelle, lucciole e più misteriosi bagliori), in parte artificiali (quanto è stato difficile, per una buona visione della cometa, cercare un luogo senza troppe interferenze luminose!).

Nando Eandi, che in altre occasioni si è confrontato con l’abbaglio della luce (generato dalla neve, dall’acqua o quale altra condizione eccessiva), questa volta affronta la notte senza alibi. Non la notte al di là d’una soglia, fondale di una scena illuminata, giusta per le apparizioni; proprio la notte fonda, nella quale si perderebbe ogni determinatezza, particolare confine, colore, graduazione tonale, ma anche luogo delle visioni generate dall’occhio, dove non soccorrano occasioni al vedere.

Le immagini di Eandi sono sempre una storia, e anche questa è una storia: Zurigo, una veduta anzi una visione notturna della città dall’alto. L’immagine dilaga a tutto campo, pullulante di particelle che la distanza rende indecifrabili; come se l’infinito celeste si fosse rovesciato sulla terra.

Anche da Corso Dante verso la collina possono manifestarsi immagini di infinito notturno: salva una differenza, esiste un centro, il saperti qui sicuro di una identità ti permette di vedere un orizzonte, il profilo cordiale della collina in alto e sotto, sarà memoria ed esperienza, la soglia immediata del fiume.

Eandi si ritrova ancorato alla vita, alla sua vita, e torna a tracciare un confine, facendo riaffiorare dal profondo una curiosità che cerca luogo e lo trova nominando punti e percorsi (“per questo annotava Anna il 29 gennaio ’52 – Nando sa che cosa dipingere”). Sia, per esempio, quella strada che s’inerpica su per la collina di San Vito proprio di fronte al Ponte Isabella, che Nando e Anna percorrevano quarant’anni fa per ascoltare concerti d’usignoli, la notte.


Pino Mantovani, Presentazione alla mostra Nando Eandi - Anna Jarre - Arte e vita per due, Mondovì 1987 (in Porti di Magnin. Periodico di Arti Figurative e di Cultura, n. 37 Ottobre 1997

Si può modellare un uomo che guarda la Luna?

Se la scultura è presentazione positiva di corpi finiti, dobbiamo dire che no: si potrebbe evocare la luna, dico la distanza della luna e la luce? Un uomo, per esempio sdraiato, con didascalia, che guarda la luna? A parte che il guardare stesso, salvo tradursi in gesto “eloquente”, è problematico per lo scultore: anzi, già l’occhio è plasticamente quasi irresolubile, infatti, sia convesso o cavo, dichiara piuttosto cecità che capacità visiva.

Eppure Anna Jarre modella indiscutibilmente “un uomo che guarda la luna”. Il tema, del resto, la perseguita da sempre: in un notes, che porta come prima data il 25 ottobre 1951 e come ultima il 22 luglio suppongo dell’anno successivo, trovo alcune idee tracciate a matita con rapida sicurezza: una è titolata in blu “uomo che guarda la luna”; qualche pagina più avanti, una nota accompagna alcuni disegni di teste: “come risolvere plasticamente questo uomo che guarda la luna?”.

Insomma, l’uomo che guarda, l’uomo che guarda la luna diventano )diventa tema chiave per Anna Jarre. Intanto, perché un uomo modellato (meglio dire scolpito: Anna è stata allieva di Mario Giansone scultore alla Libera Accademia) possa guardare la luna deve stare proprio aderente alla terra, come certe figure distese di Moore, per esempio, che la Jarre ammirò alla prima Biennale del dopoguerra. Così, descritto o stilizzato, l’uomo scarica il proprio corpo di qualsiasi impegno che non sia quello di rivolgersi a qualcosa che sta in alto.

Affidandosi alla più rilassata orizzontalità, concentra il desiderio di verticalità in un punto che il volto, segnato dai fori pungenti delle pupille.

Dove sta la luna, allora? A picco sul volto, essa si specchia nella faccia che la specula. Sul corpo terragno s’innesta un volto di luna: comunque lo si prenda, di profilo, di fronte è la luna, mezza e piena (come nel disegno del notes).

Ma è anche il volto di Nando: che ho appena visto, di gesso, inondato di luce lunare. Pierrot lunaire non guarda la luna, è la luna, pallida malinconica, assorta attonita, tonda di meraviglia, forse di taglio un poco ironica. E di luna ha l’abito, di luce fredda d’argento.

Basta un poco di tempera diluita per vestire di luna l’omino terragno, specialmente il volto in maschera di luna.

Taccuini di lavoro

Eandi si è dedicato costantemente e con passione al disegno e all'acquerello, come testimoniato in questo sito nella sezione “Opere su carta”, dove è stato recentemente ampliato lo spazio dedicato agli acquerelli e dove sarà aperta prossimamente un’area riservata ai disegni.

Alcuni schizzi, appunti e piccoli dipinti frutto di un’impressione immediata possono però rivelarci, dell’artista, tratti che rimangono nascosti in opere più elaborate e rifinite. Proponiamo qui alcuni taccuini di lavoro di Nando, noti forse a una cerchia ristretta o tenuti solo per sé.

Due album di acquerelli in formato tascabile propongono piccoli paesaggi, dipinti dal vero durante un viaggio ad Assisi e dintorni compiuto nell'autunno del 1980 con l’amico Carlo Terzuolo.

Le immagini che seguono sono invece tratte da un notes che Nando portava con sé nel periodo del suo insegnamento all’Accademia Albertina di Belle Arti, registrando – in modo estemporaneo e asistematico – appunti sull’attività, schizzando progetti e immaginando prove di morsure per acqueforti. Spiccano i progetti per l’ex libris, poi realizzato, per il Salone del Libro del 1989.

Mozartiana

Un interesse di lunga data è, per Eandi, quello per la musica classica. Chi frequentava il suo studio spesso veniva accolto dalle note di Mozart, Beethoven, Schubert, registrate su audiocassette di cui aveva completamente riempito un cassetto. Per anni Nando e Anna seguono le stagioni concertistiche dell'Unione Musicale, condividendo la passione con quel gruppo di amici che saranno contitolari della Galleria Arte Club dagli anni '80 al 2001.

E proprio la collaborazione con l'Arte Club dà origine all'incontro fra la musica di Mozart e l'opera di Eandi, con la mostra Qualche idea da Mozart del 1991. 

"In viaggio verso Venezia con gli amici della galleria, due anni fa, nacque l'idea di una mostra da realizzarsi nel '91, bicentenario della morte di Mozart. Col tempo il tema fu meglio precisato: le opere italiane su libretto di Lorenzo Da Ponte.

Passò altro tempo e un giorno della scorsa estate dichiarai che non sarei mai riuscito a cominciare.

L'indomani lavoravo già ai primi disegni.

In un momento difficile della mia vita, lavorare a questi soggetti mi è stato di grande aiuto. Giorno per giorno entravo sempre più in quel mondo di musica e teatro sentendomi amichevolmente preso per mano dai personaggi, arrivando poi a lavorare in modo appassionato, frenetico.

Così è nata questa mostra: la dedico, con tutto il cuore, agli amici dell'Arte Club e ad Anna, che mi hanno aiutato con suggerimenti preziosi". 

Nando Eandi, presentazione al catalogo della mostra Qualche idea da Mozart

Presentiamo qui di seguito un'antologia della mostra e dei relativi interventi critici

ACRILICI

PASTELLI E ACQUERELLI

COLLAGES - IDEE PER LE SCENE

Da La Repubblica, 3-4 febbraio 1991

Chi ha paura di W. A. Mozart?

[...]Fernando Eandi non è un pittore del Bicentenario, ha sempre dipinto ascoltando musiche di Mozart, e le suggestioni mozartiane sono presenti in molti suoi quadri degli anni passati, in certi colori smorzati che improvvisamente si illuminano di luce viva, nello svariare dei toni di uno stesso colore, così vicino alla variazione di un tema musicale, che pur minima, esprime qualcosa di diverso e talvolta di contrapposto.

In questa mostra la presenza mozartiana è ovviamente accentuata, e va da veri e propri bozzetti ispirati alle opere “italiane”, alla realizzazione di scene – e qui lo spazio maggiore è dato al problematico e sempre enigmatico Così fan tutte – alla interpretazione di personaggi. Un ironico Leporello presenta il catalogo delle conquiste di Don Giovanni in forma di lunghissimo cartiglio che lo avvolge tutto; Figaro appare goffamente infarsettato mentre Susanna si prova il cappellino davanti allo specchio, un Cherubino piumato è immerso nello spazio solitario del suo amore che ancora non trova referente. Don Giovanni è rappresentato spesso in un angolo del quadro in atto di avvicinare le labbra a quelle di una donna in un bacio che non si realizza mai.

Ma forse il momento più suggestivo di queste pitture sono gli sfondi, notturni immaginari in cui qualche volta sembra di scorgere Siviglia, qualche volta, più segretamente, Torino, tradita da un’acqua riflettente che non può essere che il Po, il fiume che, pur nella sua umiliazione, dall’Eandi è tanto amato.

Perché questa mostra mozartiana riesce ad essere intensamente “eandiana”. Tipici dell’ultimo Eandi sono gli splendidi notturni, pastelli e acrilici, sempre magici nella consistenza vellutata del cielo e nel brillio di stelle, o di luci che escono da finestre, delle quali ognuna è un microcosmo animato da una vita particolare, con un suo significato, come sono le frasi di Mozart, dove tutto è essenziale e si armonizza nella totalità dell’opera.

Intensamente mozartiani sono anche certi paesaggi dove i colori si contrappongono con violenza, come può essere un cielo plumbeo su una terra illuminata da una luce accecante, appena correlati da macchie di verde squillante. Sono paesaggi tipi di Eandi: ma qui di Mozart il pittore interpreta la musica, il lirismo che non ignora il dolore e la tragedia, la gioiosità che serba coscienza della morte, l’armonia che riassume ogni aspetto della vita.

Laura Mancinelli

Da La Repubblica, 3-4 febbraio 1991

Ma Eandi dipinge Figaro

È sempre un’impresa difficile mettere d’accordo le Muse. Sono invidiose l’una dell’altra, gelose dei propri privilegi, bizzose. Tra tutte, la più sofistica è certamente Euterpe, genitrice dei musici e dei poeti melici, sdegnosissima e rarefatta. Con lei è sempre un problema venire a patti, specie se si è artisti dal passato meno nobile, artisti come i pittori, che non hanno mai abitato l’Elicona, e che, privi di Musa come sono, fanno sempre un po’ di bottega. Nozze impossibili, sembrerebbero, ma proprio per questo motivo, così ricorrenti. A fare la corte ad Euterpe, dopo Savinio, Warhol e infiniti altri, ci ha provato anche il noto pittore torinese Nando Eandi con un ciclo di una trentina di opere tra acrilici, pastelli, acquerelli e collages, dedicato alla musica di Mozart in occasione del bicentenario della morte, e in mostra in questi giorni nella galleria Arte Club di via Della Rocca 39. 

Sono spunti e suggestioni organizzate intorno al Mozart più giocoso, quello delle opere italiane composte tra il 1786 e il 1790 su libretto di Lorenzo Da Ponte. Scene e personaggi tratti da Le nozze di Figaro, dal Don Giovanni e da Così fan tutte vengono riproposte da Eandi attraverso garbate composizioni di figure e di toni, in un riuscito equilibrio tra invenzione e commento. È un sottile esercizio letterario ed estetico, mai oggettistico o semplicemente scenografico, legato però –fortemente alla parola, che in Eandi assume spesso valore di decorazione, di graffito, di citazione colta. La musica è suggerita dai colori: chiari e sfumati come certe arie mozartiane, a tratti brillanti, o sottilmente malinconici e notturni. Di Fernando Eandi, pittore dalla lunga esperienza, introverso e sentimentale, si riconoscono anche in queste sue ultime fatiche la poesia e la spiccata capacità dello sguardo colto, preciso e trasfigurante. Un ottimo pittore ed un ottimo interprete mozartiano, ironico, vitale e dotato di un segno fortemente personale.

Guido Costa

Da La Stampa, 12 febbraio 1991

Mozart, tra pittura e musica

Nel bicentenario mozartiano all’Arte Club (via della Rocca 39, sino al 16 febbraio) Nando Eandi rende omaggio alla geniale creatività del grande musicista con una serie di immagini dovute alla suggestione di alcune pagine del più famoso suo repertorio operistico, Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Così fan tutte

Riprendono vita così i personaggi e gli ambienti, il gesto espressivo d’un protagonista come le fantasticate “idee per le scene”. Di Mozart si ritrova il mondo incipriato, ma appassionato, compreso il merletto del suo fraseggiato musicale. Ma è ovvio che, a due secoli di distanza, Eandi via abbia cercato la consentanea attualità, e una forma di culturale complicità.

Angelo Dragone

In concomitanza con la mostra inizia anche la collaborazione con la scrittrice Laura Mancinelli, a cui si è già accennato nel precedente aggiornamento "Eandi illustratore (seconda parte)".

Per la breve pièce teatrale Notte con Mozart (l'Argonauta, 1991) Eandi esegue 3 illustrazioni, fantasmatiche immagini di personaggi mozartiani tratteggiate a pastello bianco su sfondo nero. 

Successivamente, le due edizioni einaudiane de Il fantasma di Mozart e altri racconti (1994, 2004) recano in copertina due diversi disegni di una figura mascherata in abiti settecenteschi, uno dei quali compariva già fra le citate illustrazioni di Notte con Mozart

Il racconto Amadé. Mozart a Torino, più volte ripubblicato, nell'edizione Interlinea del 1999 presenta in copertina il pastello Mozart nel cortile del rigattiere, già esposto alla mostra del '91, ed è corredato all'interno di 5 disegni originali. 

Dell'ispirazione mozartiana si trova traccia, infine, in due fra i numerosi ex libris di Eandi.

Il primo, inciso per Paola Cerutti diversi anni prima della mostra citata, riporta una frase da Così fan tutte; più tardo il secondo, eseguito per Cristina Borzino, che presenta la figura di Cherubino (da Le Nozze di Figaro).

Buone Feste da Nando

A partire almeno dagli anni '80, regolarmente, in occasione delle festività natalizie, Eandi prepara per amici e famigliari biglietti di auguri con piccole acqueforti, disegni, acquerelli o pastelli, talora incisioni su linoleum. Raramente si incontrano soggetti natalizi; più spesso vengono ripresi i temi ricorrenti nella pittura e nella grafica di Nando. 

Si tratta talvolta di figure consuete, come l'uomo con burattini o lo spazzacamino (soggetto ripreso da opere di anni assai più remoti), o dell'immagine della Fortuna benaugurate, riconoscibile probabilmente anche nella donna seminascosta da un messaggio di auguri.

Altro soggetto ricorrente sono gli uccellini, raffigurati spesso su spogli cespugli invernali in un paesaggio innevato.

Vi sono poi piccole nature morte, che rappresentano oggetti più o meno evocativi dell'atmosfera natalizia: giocattoli come burattini e orsetti (scelti talora anche come singolo soggetto), libri, vasi con fiori, pacchetti confezionati con cura. A volte invece il messaggio è affidato a una semplice immagine floreale. 

Non di rado sui biglietti compaiono paesaggi, anche questi ispirati alle più consuete iconografie di Eandi: steccati con cumuli di oggetti abbandonati, Venezia, case nordiche dai tetti appuntiti, un cespuglio in mezzo alla neve, diafane colline. 

E ci sono, infine, paesaggi dove il Natale è esplicitamente evocato dall'immagine della cometa in un sereno cielo stellato o sopra il profilo di città orientali dai tratti fiabeschi. 

Nell'atelier di Nando abbiamo trovato una lastra incisa, preparata probabilmente come biglietto augurale di grande formato (180 x 240 mm).

Vista la qualità dell'opera, grazie alla collaborazione dei preziosissimi amici Pippo Poli e Sergio Dellavecchia, è stata prodotta presso la calcografia "Al Pozzo" di Dogliani Castello una tiratura postuma limitata di questa acquaforte (35 esemplari in numeri arabi e 10 in cifre romane) , con il sostegno di tanti famigliari e amici.

La lastra non è datata, ma colpisce l'affinità tematica con un'altra incisione di più piccolo formato, eseguita e stampata nel 1973.

Con queste due opere a confronto chiudiamo questo capitolo, e a chi ci segue auguriamo Buone Feste. 

Eandi illustratore 

Seconda parte

Non mancarono occasioni a Eandi di prestare la sua opera per la realizzazione di illustrazioni e, più spesso, di copertine di libri, ma non solo. 

Si tratta in alcuni casi di collaborazioni amichevoli con famigliari che pubblicano le loro opere in modo quasi artigianale. Per la cognata Paola Jarre, che scrive e pubblica per passione diverse raccolte di racconti lungo l'arco della sua vita, Nando disegna la copertina e 12 illustrazioni per Il gatto di terracotta (L'Ariete, Milano 1968) e, molti anni più tardi, dipinge un acquerello per la copertina di Colori e vernici (L'Autore Libri, Firenze 1998). La band Octoside, formata da Francesco De Renzis (nipote di Nando) e Mariangela Pastorello, sceglie invece di riprodurre come copertina del suo primo EP Ended Plays (2016) l'acquaforte Il mio fiume.

L'opera di Nando come illustratore viene poi richiesta per alcuni piccoli volumi pubblicati da raffinati editori indipendenti. Per la collana I quaderni di "Galleria" delle edizioni Salvatore Sciascia (Caltanissetta - Roma), la gallerista e critica d'arte milanese Renata Usiglio pubblica nel 1969 Tempo libero di Fernando Eandi, un breve e stimolante testo critico con 10 riproduzioni di disegni dell'artista. 

La casa editrice Le Masche di Vercelli nel 1982 chiama Eandi a collaborare per l'omonima collana, che comprende piccoli ed eleganti libri illustrati con un'incisione originale (allegata a 20 copie di ogni volume) che viene riprodotta in copertina; gli artisti coinvolti sono Giorgio Ramella, Giacomo Soffiantino, Vincenzo Gatti, Mario Calandri, Sergio Saroni e, come detto, Eandi, che illustra l'opera di Vladimir F. Odoevskij La Silfide e altri racconti

Ricordiamo, infine, il volume Proverbi dal Potentino di Gaetano Cantisani (Rocco Fontana Editore, 1989), per il quale l'editore sceglie alcune incisioni di Nando come illustrazioni al testo.

La collaborazione più significativa nell'ambito dell'illustrazione è certamente quella con la scrittrice torinese Laura Mancinelli (1933 - 2016). Appassionata dell'opera di Eandi (nella sua opera autobiografica, Il passato è presente, lo definisce "Il mio artista preferito"), autrice di numerosi interventi critici su di lui, sceglie più volte di riprodurre dipinti dell'artista sulle copertine dei propri libri; e su ognuna di queste opere scrive pagine che colpiscono per l'affetto ancor prima che per la sensibilità critica. 

Da Il mio incontro con Fernando Eandi, in Benzi - Schialvino, Eandi. Sogni e poesia, Ed. Smens - Vecchiantico, 2007

Altre carte di Eandi sono diventate copertine di miei romanzi, un acquerello con una vecchia casa segnata dall'abbandono per La casa del tempo nell'edizione della Piemme, e sempre per la stessa edizione “Notte di luna” per I racconti della mano sinistra. La prima riassume in sé il mistero della casa abbandonata da anni, ma in cui sopravvive una dolorosa storia d'amore che reclama un finale felice come compenso alla sofferenza […].

Rappresenta la facciata di una casa di campagna, che per alcuni segni si rivela borghese e non contadina - il portone sormontato da una lunetta a vetri, comignoli e abbaini vari -, ma ancor più evidenti mostra le tracce dell'abbandono. Una mano ignota ha disegnato sulla parete bianca visi di donna, forse attrici in auge in quel tempo, un cuore, altri segni misteriosi, tra i quali, non certo misterioso, spicca una N, iniziale di Nando, che compare spesso nei suoi dipinti. La natura ha completato l'opera con muffe ed erbacce ai piedi della facciata. Perché avevo scelto quell'acquerello per il mio romanzo? Forse perché quella casa nasconde un mistero e l'acquerello di Nando ha contribuito all'idea del romanzo, nata in me e sviluppata da una scintilla di cui non saprei spiegare l'origine.

Spesso mi accade di cominciare a scrivere senza un progetto di stesura e tanto meno di conclusione. E di procedere nella scrittura guidata dalla suggestione dell’immagine.

Più vaga è stata la scelta di "Notte di luna" per i Racconti della mano sinistra, anche qui prima edizione della Piemme poi ristampata dall’Einaudi con altra figura di copertina. Vaga perché i racconti non sono legati da un filo, ma di argomento vario e molto diverso. La figura di copertina rappresenta un uomo col cappello alto e le mani dietro la schiena che passeggia per le vie della vecchia Torino, rivelata da una delle cupole del Guarini. E la luna dov'è? Nel cielo naturalmente. Ma tanto piccola che bisogna cercarla. La sua luce però imbianca e trae dall'oscurità tutto un ammasso di case e costruzioni diverse della parte più antica di Torino, tra le quali emerge la struttura e la cupola della chiesa di San Lorenzo.

Da Il mio incontro con Fernando Eandi, in Benzi - Schialvino, Eandi. Sogni e poesia, Ed. Smens - Vecchiantico, 2007

Un gruppo di tronchi di betulle spoglie emergenti dalla neve apre un ventaglio di suggestioni spesso contrastanti: può alludere alla desolazione dell’inverno come all'attesa della rinascita primaverile, a un momento di disperazione come alla segreta bellezza della luce riflessa dai cristalli di neve. Chi guarda può leggerci tutto quello di cui ha bisogno, solidarietà nella tristezza o attesa di una pur piccola gioia, o tutte e due le cose secondo l’ora del giorno e la disposizione dell’animo. Per questo ho scelto l’acquerello delle betulle come copertina del mio Andante con tenerezza: ci vedevo tutti i momenti della mia vita, gioia, dolcezza, e disperazione dopo l’aggressione della malattia, e fatica di sopravvivere.

Da Andante con tenerezza, Einaudi 2002

Arbusto nella nebbia

Lo guardo e lo riguardo. Emerge dalla nebbia a poco a poco, prima indistinto, poi sempre più nitido. È un arbusto di cardo che si va seccando, ma conserva ancora alcuni degli inconfondibili fiori sfumati dal grigio esterno al cuore, appena segnato da una pennellata lieve di viola circondata di bianco che la fa risaltare. Il resto sono infinite tonalità di grigio contro un cielo incerto tra pallido azzurro, bianco e bigio. Una luce lievemente più chiara, in alto, è il sole che traspare nella nebbia, molto tenue ma sufficiente a far emergere gli steli secchigni del cardo, i pallidi fiori e alcuni bottoncini di un bianco luminoso.

È un’immagine di morte? No, di vita avviata alla morte. Infatti due uccellini, due passeri credo, stanno sul cardo a becchettar dei semi. L’arbusto morente ha ancora qualcosa da offrire, ha ancora un alito di vita.

Fernando Eandi, il pittore che ha dipinto l’arbusto nella nebbia e me l’ha regalato, non sapeva, non poteva saperlo, che dipingeva il mio ritratto, la mia vita volta alla fine.

Laura Mancinelli commissiona inoltre a Nando disegni, pastelli, acquerelli da realizzare appositamente come illustrazioni per le sue opere "mozartiane".

Ma per il rapporto fra l'opera di Eandi e la musica di Mozart, e per una presentazione più analitica di questa particolare collaborazione con la scrittrice rimandiamo a un prossimo aggiornamento. 

Eandi illustratore 

Prima parte

Più volte Eandi ha l'occasione di accompagnare con le sue opere testi di scrittori più o meno celebri.

Si tratta da un lato di copertine o illustrazioni di libri che riproducono opere originali dell'artista; dall'altro di incisioni realizzate per volumi o cartelle a tiratura limitata di edizioni d'arte: a questi ultimi dedichiamo questo spazio.

Le prime tre opere qui proposte testimoniano della collaborazione di Nando con Rocco Fontana (1938 - 1996), animatore della vita culturale di Matera fra gli anni '70 e gli anni '90. Titolare della Galleria Il Labirinto (presso la quale Eandi espone nel 1976 e nel 1978), Fontana si dedica anche all'attività libraria con le Edizioni del Labirinto, successivamente rinominate Rocco Fontana Editore. Eandi viene coinvolto nel 1975 per la cartella Lucani a Torino, illustrando con cinque acqueforti altrettante poesie dello stesso Rocco Fontana.

Per la Collana 35/42, che comprende cartelle a tema con poesie di diversi autori, illustrate da diversi incisori, nel 1978 viene pubblicata L'agonia del fiume, cartella con cinque poesie (autori: Giorgio Bàrberi Squarotti, Ruggero Jacobbi, Rossana Ombres, Roberto Sanesi, Maria Luisa Spaziani) e cinque acqueforti (autori: Fernando Eandi, Francesco Franco, Lea Gyarmati, Cesco Magnolato, Walter Piacesi); l'incisione di Eandi illustra la lirica di Rossana Ombres, Cimice prataiola.

Nel 1981, infine, per la collana Daidalos Classica, Eandi illustra con cinque acqueforti Nel vento e nell'acqua, un'antologia di undici testi dai Carmi di Catullo.

Si ringrazia la dott. Francesca De Michele per la collaborazione e le notizie sull'attività di Rocco Fontana

Nel 1997 presso le Edizioni due fiumi dello stampatore torinese Giacomo Figus viene pubblicata una piccola plaquette con due acqueforti di Eandi ispirate a La capra di Monsieur Seguin, una novella di Alphonse Daudet compresa nelle Lettres de Mon Moulin, una lettura molto amata da Nando.

Un'altra significativa collaborazione di Eandi come illustratore di libri d'arte è quella con Gianfranco Schialvino, incisore specializzato nella xilografia, fine intellettuale e titolare della casa editrice d'arte Smens.

Nel 2000 Smens pubblica una doppia edizione del racconto di Oscar Wilde The Happy Prince, in lingua originale con sette incisioni di Eandi e in traduzione con incisioni di Giacomo Soffiantino.

(Copia del libro si trova presso la biblioteca del Trinity College di Dublino).

Successivamente, nel 2002, Schialvino pubblica in un'elegante edizione limitata tre racconti di Anna Camusso, sotto il titolo La zia della neve, illustrati con l'acquaforte di Eandi Temporale.

L'ultima e più impegnativa opera di Nando come illustratore è quella realizzata con la casa editrice Fògola di Torino, che, fondata nel 1963 all'interno della Libreria Dante Alighieri di Piazza Carlo Felice, cesserà l'attività insieme alla libreria stessa nel 2014. 

Nella Grande Collana, diretta da Folco Portinari e Giorgio Bàrberi Squarotti, che comprende classici italiani e stranieri illustrati da artisti contemporanei, Fògola pubblica nel 2007 una preziosa edizione di Les fleurs du mal di Charles Baudelaire, con quattordici incisionioriginali di Eandi (in concomitanza con una mostra personale presso la Galleria Dantesca).

Eandi fotografo

Un pittore e la camera oscura: è il titolo di un denso articolo che nel 1971 Ernesto Caballo dedica, sulla rivista "45° parallelo", ad alcune foto di Eandi, dando rilievo ad un aspetto particolare dell'interesse dell'artista per l'immagine. 

A partire dalla metà degli Anni Sessanta e nel decennio successivo, infatti, Nando si appassiona alla fotografia in bianco e nero, affascinato non solo dallo scatto - lo studio dell'immagine attraverso l'inquadratura e la luce -, ma anche dalla stampa, con le sue possibilità tecniche di elaborazione dell'immagine stessa, pur con i mezzi non professionali di cui dispone. 

Allestisce nel laboratorio di via Marenco 11 una camera oscura che monta e smonta ritagliando spazi e tempo dal lavoro di restauro; e in seguito un ambiente più strutturato nei due locali che diventeranno, in successione, i suoi atelier nel cortile di corso Dante 118.

Fra i suoi soggetti figurano volti di famigliari e scorci di paesaggi urbani o collinari, talvolta molto affini a quelli rappresentati nei dipinti o nelle incisioni. Alcune di queste immagini sono ben note a chi frequentava l'atelier e per quarant'anni le ha viste appese alla parete, sopra il tavolo da lavoro. 

Da 45° parallelo, n. 47, novembre - dicembre 1971

Un pittore e la camera oscura

Fernando Eandi non si commuove se gli dicono che il pittore Tiphaine de la Roche parla, nel libro Gyphantie pubblicato a Mosca nel 1761, di un procedimento pittorico a base di ingredienti chimici; e che l’artista olandese Giovanni Torrentius (1589-1641) impiegava per i suoi quadri un ritrovato che oggi si chiamerebbe fotochimico.

Nelle sue tele Eandi si appaga dei colori dei tubetti; fa pure a meno degli acrilici per le sue sottoperiferie, gremite di reperti di una meccanica arcaica affidata a una storia di decomposizione e di solitudine. Lo stesso càpita per i suoi quadri che rappresentano una quinta stagione vicina alla primavera, a giudicare dai frutti dipinti con uno stile immateriale, luminoso e per altre opere in cui figurano certi omìni graffiti che dimostrano di aver imparato la parte di giudici contro la cattiva città.

Non gli interessa soverchiamente che Thomas Eakins sia considerato il fotografo del movimento e come tale anticipatore di Duchamp-Villon (ricordate il quadro villoniano del Nu descendant l’escalier?), del torinese Giacomo Balla, di Lazlo Moholy-Nagy, di Man Ray e altri pittori cinefili. Non nega però che la fotografia sia il linguaggio universale e moderno, senza tuttavia concederle nessun accredito di ultrafanìa e di visionarietà. Crede invece all’esistenza di infiniti elementi anonimi che aspettano un’espressione.

Per lui la fotografia è uno specchio dotato di memoria; non gli importa ricchezza e superfluità di armamentari, pluriapparecchi a tracolla, le batterie di spotlights del tipo Altair o Andromeda; ricorda di più la descrizione della camera oscura del vaticinante Leonardo che non i tests sul fissaggio moderno e sui lampi stroboscopici al milionesimo di secondo. Fruisce di una particolare facoltà di vedere, rinunciando ai facili giochi metamorfici che l’obiettivo può elargire.

Le sue fotografie che pubblichiamo sono senza vanità: si vedano i frutti innevati nel giardino-cortile; la linea pura e filante di una cimasa, il frastaglio dei vetri rotti che arieggia le trame della galaverna. E’ un viaggio dentro Torino compiuto seguendo un orientamento che non diverge dalle ricerche di pittura di Eandi, ma che ribadisce la sua diversità sostanziale. Di proposito l’artista vuole starsene fuori da una condizione puramente tecnica; e questo vale anche per l’impaginazione della cappella sulla collina torinese, una cappella resistente ai colpi di quelle vandalusie che sono le cinture della città. I rapporti dell’uomo con l’immagine fotografica, con l’istante catturato e qualche volta magicamente perdurante, qui vengono proposti e articolati con chiarezza. Non si trasforma la storia bensì, all’opposto, la si presenta, qual è, nella sua verità momentanea. Il nostro pittore conserva, infine, il gusto della fisionomia fisica delle cose.

Concludendo: il fenomeno della fotografia è un’esperienza misteriosa, ma non diremmo che tale fenomeno abbia raccolto l’eredità della pittura. Quasi sempre Eandi persegue nella ricerca gli elementi dimessi, minimi, svaniti, e così le sue immagini si rivoltano contro le convenzioni dell’iconografia urbana – nel nostro caso, di Torino -.

Vale per lui la sottile distinzione di W. Benjamin tra fotografia in quanto arte e arte in quanto fotografia. Più di un piccolo album figurato, quello di Eandi è un atlante segreto su cui esercitarci fra scambi ed equilibri ottici, certi che la verità di una fotografia dipende dalla sincerità dell’operatore.

Ernesto Caballo

Gli anni giovanili

I materiali qui presentati riguardano gli esordi dell'attività di Nando, dall'immediato Dopoguerra, quando frequentava l'Alba (Accademia Libera di Belle Arti), al 1960, anno della prima mostra personale. 

Nella varietà di soggetti dipinti in questo periodo compaiono già, accanto ad altri progressivamente abbandonati, quelli che caratterizzeranno la produzione di Eandi fino agli ultimi anni: le colline, i paesaggi urbani, le case che si riflettono nei fiumi o negli antichi canali di Torino; e si osservano anche cromatismi vari e accesi, inusuali per chi abbia conosciuto solo l'opera degli anni più maturi.  

Incontriamo anche le primissime prove nell'ambito dell'incisione, con alcuni esempi di puntasecca. 

Firenze 1947. Alcuni allievi dell'Accademia Libera di Belle Arti partecipanti al raduno che prelude al Festival Mondiale della Gioventù ospitato a Praga

Testo e immagine da: Quell'alba del 3 agosto mezzo secolo fa, catalogo della mostra a cura di Lucio Cabutti, 31 ottobre - 14 novembre 1995


(Eandi è il terzo da sinistra della fila posteriore)

Anna Jarre e Nando Eandi (1953)

  • 1952    Promotrice di Belle Arti, Torino
  • 1953    Premio Diomira, Milano (premiato)
  • 1955    Premio S. Fedele, Milano (premiato)
  • 1956    Premio Golfo della Spezia, La Spezia
  • 1956    Premio Marzotto, Milano
  • 1957    Premio Golfo della Spezia, La Spezia
  • 1958    Premio Golfo della Spezia, La Spezia
  • 1959    Premio Golfo della Spezia, La Spezia
  • 1959    Premio Perugia, Perugia
  • 1960    Premio Varallo, Varallo Sesia (VC) (premiato)
  • 1960    XXI Biennale di Milano, Milano
  • 1960    Mostra personale Galleria La Cornice, Torino

Da La Stampa, 1 aprile 1960

Fuori dall’astrattismo

Il pittore torinese Fernando Eandi, di trentaquattr’anni, espone dal ’52 alla “Promotrice”, è comparso alle mostre del “Premio La Spezia”, del “Premio Marzotto”, in varie rassegne artistiche a Milano, Reggio Emilia, Perugia, Cesenatico. Ha avuto quindi modo di allargare il campo delle sue esperienze artistiche, e lo provano le 15 opere ora presentate nella saletta “La Cornice”. Egli dichiara d’aver tentato di conciliare la figuratività con l’astrazione, ma di esser poi tornato sui propri passi. La sua vocazione è dunque di “rappresentare”, di interpretare forme naturali, ma coi mezzi che gli suggerisce la sensibilità di un giovane del nostro tempo.

Quale sensibilità? Quella in lui destata dalla visione di motivi semplici, umili, un uomo d’aspetto dimesso, una giovinetta che sembra tolta dalla dolente umanità modiglianesca, un casto nudo femminile, una zuppiera, un bricco, pochi fiori selvatici sopra una seggiola, qualche paesaggio della periferia più squallida, opifici, detriti, strade fangose, terreni vaghi con tracce di neve sporca. Temi severi, persino desolati; ma guardati, capiti e resi con un’intensità di sentimento che vuole, per la sua espressione pittorica, un linguaggio altrettanto sobrio e scabro.

Questa coerenza fra lo spirito e la forma è ciò che soprattutto conferisce alla pittura dell’Eandi un carattere di serietà, di austera pensosità. Il suo lavoro di scavo nelle proprie sensazioni è palese nell’inquietudine del segno grafico, nel tormento delle stesure cromatiche, nella meditazione sugli accordi tonali. Talora, su una superficie quasi monocroma ma estremamente modulata appare un graffio alla Gentilini; altre volte un rosso terroso si spegne alla maniera di Saetti, oppure il rabesco di Spazzapan guizza improvviso a trasfigurare estrosamente l’oggetto. Ma l’insieme ha già uno stile personale, che può prender posto con decoro fra le ricerche di molti giovani per una nuova figurazione.

Marziano Bernardi

Ritratto di Paola 1960

Da: catalogo mostra Galleria La Cornice 

Da Stampa Sera, 1 aprile 1960

“Personale” di Eandi

Quando Fernando Eandi nel 1952 partecipò alle sue prime mostre nazionali, aveva 26 anni. Non è dunque, questo torinese, di quei giovani che hanno soprattutto fretta; e lo conferma con la sua prima “personale” inaugurata soltanto ieri alla “Cornice” (corso Sommeiller n. 26), avendo ormai al suo attivo con un buon numero di mostre anche alcuni premi, conseguiti fin dal 1953 e dal ’55.

Come altri che lavorano quasi isolati, tendendo per temperamento alla espressione di un proprio mondo contemplativo, anche Eandi ha conservato un vivo interesse per i modi d’una raffigurazione che comprende la immagine dell’uomo.

La pittura rappresenta infatti, per lui, la possibilità di dire com’egli intenda oggetti, paesaggi e figure cui dà forma con fini modulazioni tonali spesso sensibilmente riportate ad un bruno fondamentale, che egli gradua anche nelle più chiare inflessioni addolcite a tratti da più morbide colorazioni sino a rendere persino la luminosità d’un incarnato.

Angelo Dragone

Da La Gazzetta del Popolo, 7 aprile 1960

Fernando Eandi

Alla galleria La Cornice

C’è un rapporto consolante di severità tra la sensibilità vorremmo dire di costume di questo pittore che a trentaquattro anni effettua la sua prima mostra personale e la sua sensibilità d’artista. È un accordo severo, forse anche un poco dolente. Le figure ch’egli evoca con paziente e quasi accorata lentezza dal fondo dei dipinti, su cui si stende una nota bruna qua e là macchiata o graffita secondo un rabesco che non è mai gratuito, acquistano poco a poco rilievo luminoso e colore, sino a toccare la trasparenza di un incarnato o di una superficie smaltata come se affiorassero da un’ombra densa che è dell’esistenza e nel tempo stesso della finzione pittorica.

In complesso c’è molta finezza, forse sovrabbondanza di umori sentimentali che il pittore decanterà utilmente in avvenire, ma anche qualità artigianali che promettono bene e garantiscono per il futuro.

Luigi Carluccio

Eandi nello studio (1964)

Un ricordo di Primo Levi

In occasione del centenario della nascita di Primo Levi, vogliamo dedicare, come omaggio, la prima di queste news all'incontro, seppur episodico, fra l'opera di Nando Eandi e quella dello scrittore torinese. Un episodio che suggerisce una singolare affinità fra due osservatori lucidi e appassionati di una realtà urbana liminale e per altri semplicemente squallida.

Il 27 giugno 1979 "La Stampa" pubblica una poesia di Levi, I gabbiani di Settimo. Leggendola Nando vi riconosce immediatamente immagini e atmosfere di tanti suoi dipinti e incisioni.

Qualche giorno più tardi squilla il telefono in casa Eandi: "Sono Primo Levi". Dopo una breve amichevole conversazione, Levi invia a Nando una copia con dedica della plaquette L'osteria di Brema, edita da Vanni Scheiwiller. 

Pur non avendo mai conosciuto di persona Primo Levi, decide di mandargli una recentissima acquaforte che sembra nata in parallelo a questa lirica, quasi come illustrazione. 

Un incontro che Nando ha sempre ricordato con emozione. 

"La sua pittura, la sua vita, è un susseguirsi di appunti. Di frammenti, fogli di notes. Un affollarsi di strade, di case, di oggetti in una sorta di lieve eccesso che ti rotola addosso e che si impadronisce della visione". 

(Gianfranco Schialvino)


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